La vera storia della Monaca di Monza, vissuta attorno al 1600, è una storia complessa, dove la violenza si mescola alla passione di un amore impossibile, con ricchezza di ingredienti preziosi per un romanzo d’appendice ottocentesco, tanto da aver indotto Alessandro Manzoni a raccontarne le vicende, seppur tacendo o modificando parte della realtà. Ripercorrere i luoghi e ritrovare l’epoca dei fatti consente di aprire una finestra straordinaria su una Monza sconosciuta, costellata di monasteri e conventi, contea redditizia e sottoposta a una nobiltà stretta tra l’occupazione spagnola e l’Inquisizione. Non siamo ancora all’epoca della grande epidemia di peste che avrebbe colpito Milano soltanto nel 1630 (e «I promessi sposi» traslano la storia della Monaca a questo periodo, per disporre di un più ricco contesto narrativo). Il Manzoni conosce la vera storia di Marianna de Leyva, nata da Virginia Maria Marino in un palazzo Marino (oggi sede del Comune di Milano) che prende il nome dal casato materno, ma le inventa una giovinezza non peggiore della realtà: quando Marianna, orfana della madre, viene consegnata al monastero di clausura monzese ha infatti solo tredici anni, e a sedici ha già preso i voti. Nel suo «carcere» monastico resterà per una vita lunga settantacinque anni, compresi quelli in cui sarà murata viva in una cella di un metro e mezzo per due e mezzo, condannata dal tribunale religioso con una sentenza disumana, interrotta dal cardinale Borromeo solo dopo quattordici anni. Il profilo psicologico tracciato dal Manzoni è profondo, e la forte condanna, nel romanzo come nella realtà, non è per la monaca con il suo amante, per gli omicidi e i tentati omicidi di cui si sono macchiati e per tutte le violazioni della consegna monastica, bensì per la monacazione forzata: un fenomeno durato fino alla metà dell’Ottocento. LA MOSTRA AI MUSEI CIVICI Nei percorsi di rivisitazione della Monaca di Monza questa esposizione porta l’attenzione alla rappresentazione del personaggio attraverso forme comunicative «di massa», quelle che maggiormente ne hanno determinato l’ingresso nel patrimonio dell’immaginario collettivo. Ecco per esempio l’edizione illustrata ottocentesca de «La monaca di Monza» fantasticata da Giovanni Rosini, diffusa a dispense settimanali da 5 centesimi; cartoline, manifesti e fotobuste di film, dai primi anni del XX secolo agli anni Cinquanta e Sessanta; sequenze a fumetti, dal primo albetto a striscia, prodotto nel 1953 dalla Magnesia S. Pellegrino e diffuso gratuitamente nelle farmacie, al Corriere dei Piccoli e alle pagine di Paolo Piffarerio per Il Giornalino. Al centro, «La Monaca di Monza» a fumetti, con la vera vicenda di Marianna de Leyva raccontata da Alessandro La Monica con un’inedita attenzione alla ricostruzione di fatti e luoghi, partendo dagli atti del processo. L’esposizione dei disegni originali e delle diverse fasi creative consente di scoprire anche il lavoro che sta «dietro le quinte» di un’opera a fumetti tanto impegnativa, realizzata dal Comune di Monza con la collaborazione della Fondazione Franco Fossati con il Museo del Fumetto di Milano.
La vera storia della Monaca di Monza, vissuta attorno al 1600, è una storia complessa, dove la violenza si mescola alla passione di un amore impossibile, con ricchezza di ingredienti preziosi per un romanzo d’appendice ottocentesco, tanto da aver indotto Alessandro Manzoni a raccontarne le vicende, seppur tacendo o modificando parte della realtà. Ripercorrere i luoghi e ritrovare l’epoca dei fatti consente di aprire una finestra straordinaria su una Monza sconosciuta, costellata di monasteri e conventi, contea redditizia e sottoposta a una nobiltà stretta tra l’occupazione spagnola e l’Inquisizione. Non siamo ancora all’epoca della grande epidemia di peste che avrebbe colpito Milano soltanto nel 1630 (e «I promessi sposi» traslano la storia della Monaca a questo periodo, per disporre di un più ricco contesto narrativo). Il Manzoni conosce la vera storia di Marianna de Leyva, nata da Virginia Maria Marino in un palazzo Marino (oggi sede del Comune di Milano) che prende il nome dal casato materno, ma le inventa una giovinezza non peggiore della realtà: quando Marianna, orfana della madre, viene consegnata al monastero di clausura monzese ha infatti solo tredici anni, e a sedici ha già preso i voti. Nel suo «carcere» monastico resterà per una vita lunga settantacinque anni, compresi quelli in cui sarà murata viva in una cella di un metro e mezzo per due e mezzo, condannata dal tribunale religioso con una sentenza disumana, interrotta dal cardinale Borromeo solo dopo quattordici anni. Il profilo psicologico tracciato dal Manzoni è profondo, e la forte condanna, nel romanzo come nella realtà, non è per la monaca con il suo amante, per gli omicidi e i tentati omicidi di cui si sono macchiati e per tutte le violazioni della consegna monastica, bensì per la monacazione forzata: un fenomeno durato fino alla metà dell’Ottocento. LA MOSTRA AI MUSEI CIVICI Nei percorsi di rivisitazione della Monaca di Monza questa esposizione porta l’attenzione alla rappresentazione del personaggio attraverso forme comunicative «di massa», quelle che maggiormente ne hanno determinato l’ingresso nel patrimonio dell’immaginario collettivo.
Musei Civici di Monza Casa degli Umiliati Via Teodolinda, 4, Monza Orari di apertura e modalità di ingresso consultabili sul sito dei Musei Civici di Monza